L’osteoartrosi, più comunemente conosciuta come artrosi è una malattia degenerativa delle articolazioni, caratterizzata dall’alterazione e riduzione della cartilagine ialina e articolare e ipertrofia dell'osso, con produzione di osteofiti.
L'osteoartrosi (OA), la più comune di tutte le patologie articolari, inizia in modo asintomatico nel 2° e 3° decennio ed è estremamente diffusa all'età di 70 anni. La quasi totalità dei soggetti intorno ai 40 anni, mostra qualche alterazione patologica delle articolazioni sottoposte al carico, benché una parte relativamente piccola di essi presenti una sintomatologia. Vengono colpiti entrambi i sessi con la stessa frequenza, ma l'esordio è più precoce nel maschio.Classificazione
L'OA viene classificata in:
- primaria (idiopatica): coinvolge le articolazioni interfalangee distali e prossimali (provocando la formazione dei noduli di Heberden e di Bouchard), la prima articolazione carpo-metacarpale, i dischi intervertebrali e le apofisi articolari vertebrali della colonna nei tratti cervicale e lombare, la prima articolazione metatarso-falangea, l'anca, il ginocchio.
Sottotipi della OA primaria comprendono la forma erosiva, quella infiammatoria e quella rapidamente distruttiva delle spalle e meno spesso delle anche e delle ginocchia negli anziani.
- secondaria: sembra risultare da condizioni che cambiano il microambiente dei condrociti. Queste includono anomalie articolari congenite, anomalie genetiche, malattie infettive, metaboliche, endocrine o neurologiche; malattie che alterano la struttura e la funzione della cartilagine ialina, i traumi (comprese le fratture) a carico della cartilagine ialina o dei tessuti circostanti.
Fisiopatologia
Le articolazioni normali hanno un coefficiente di frizione basso e normalmente non si logorano con un uso eccessivo o un trauma. La cartilagine ialina non presenta vascolarizzazione, né innervazione, né vasi linfatici. È costituita per il 95% da acqua e da matrice cartilaginea extracellulare e solo per il 5% da condrociti (unità morfologiche e funzionali del tessuto cartilagineo).
Lo stato di salute della cartilagine e la funzione dipendono dalla compressione e dal rilasciamento esercitata dal peso del corpo e dal movimento; cioè, la compressione sposta liquidi dalla cartilagine nello spazio articolare e nei capillari e nelle venule, mentre il rilasciamento consente alla cartilagine di riespandersi, iperidratarsi e assorbire i necessari nutrienti.
Il processo fisiopatologico dell'OA è progressivo. Scatenato da una modificazione del microambiente, il condrocita va incontro a mitosi e ad aumentata la sintesi di proteoglicani e di collagene tipo II (i principali elementi strutturali della cartilagine), quindi aumenta la sintesi ossea da parte degli osteoblasti. Con l'aumentata formazione ossea nell'area subcondrale, le proprietà fisiche dell'osso cambiano; l'osso diventa più rigido con diminuita elasticità e si verificano microfratture, seguite da formazione di callo, ulteriore rigidità e ulteriori microfratture. La metaplasia (sostituzione) delle cellule sinoviali periferiche comporta la formazione di osteofiti periarticolari.
Alla fine, si formano cisti ossee (pseudocisti) nel midollo, al di sotto dell'osso subcondrale. Le cisti ossee sono causate dalla fuoriuscita di liquido articolare nel midollo attraverso le spaccature della cartilagine ialina, con una reazione cellulare fibroblastica e osteoblastica. L'aspetto macroscopico è quello di una perdita di levigatezza con perdita di sostanza e irregolarità a carico della superficie della cartilagine ialina, fino alla formazione di grossolane ulcerazioni con perdita di sostanza, inizialmente focale, quindi diffusa, che lascia soltanto superfici ossee eburnee. Quando compaiono i sintomi clinici, sono praticamente sempre presenti un'attiva proliferazione sinoviale e una lieve sinovite.
Sintomi e segni
L'esordio è graduale, generalmente con interessamento di una sola o poche articolazioni. Il dolore è il sintomo più precoce e abitualmente si aggrava con l'esercizio e migliora con il riposo. La rigidità mattutina è presente dopo inattività.
Sottotipi della OA primaria comprendono la forma erosiva, quella infiammatoria e quella rapidamente distruttiva delle spalle e meno spesso delle anche e delle ginocchia negli anziani.
- secondaria: sembra risultare da condizioni che cambiano il microambiente dei condrociti. Queste includono anomalie articolari congenite, anomalie genetiche, malattie infettive, metaboliche, endocrine o neurologiche; malattie che alterano la struttura e la funzione della cartilagine ialina, i traumi (comprese le fratture) a carico della cartilagine ialina o dei tessuti circostanti.
Fisiopatologia
Le articolazioni normali hanno un coefficiente di frizione basso e normalmente non si logorano con un uso eccessivo o un trauma. La cartilagine ialina non presenta vascolarizzazione, né innervazione, né vasi linfatici. È costituita per il 95% da acqua e da matrice cartilaginea extracellulare e solo per il 5% da condrociti (unità morfologiche e funzionali del tessuto cartilagineo).
Lo stato di salute della cartilagine e la funzione dipendono dalla compressione e dal rilasciamento esercitata dal peso del corpo e dal movimento; cioè, la compressione sposta liquidi dalla cartilagine nello spazio articolare e nei capillari e nelle venule, mentre il rilasciamento consente alla cartilagine di riespandersi, iperidratarsi e assorbire i necessari nutrienti.
Il processo fisiopatologico dell'OA è progressivo. Scatenato da una modificazione del microambiente, il condrocita va incontro a mitosi e ad aumentata la sintesi di proteoglicani e di collagene tipo II (i principali elementi strutturali della cartilagine), quindi aumenta la sintesi ossea da parte degli osteoblasti. Con l'aumentata formazione ossea nell'area subcondrale, le proprietà fisiche dell'osso cambiano; l'osso diventa più rigido con diminuita elasticità e si verificano microfratture, seguite da formazione di callo, ulteriore rigidità e ulteriori microfratture. La metaplasia (sostituzione) delle cellule sinoviali periferiche comporta la formazione di osteofiti periarticolari.
Alla fine, si formano cisti ossee (pseudocisti) nel midollo, al di sotto dell'osso subcondrale. Le cisti ossee sono causate dalla fuoriuscita di liquido articolare nel midollo attraverso le spaccature della cartilagine ialina, con una reazione cellulare fibroblastica e osteoblastica. L'aspetto macroscopico è quello di una perdita di levigatezza con perdita di sostanza e irregolarità a carico della superficie della cartilagine ialina, fino alla formazione di grossolane ulcerazioni con perdita di sostanza, inizialmente focale, quindi diffusa, che lascia soltanto superfici ossee eburnee. Quando compaiono i sintomi clinici, sono praticamente sempre presenti un'attiva proliferazione sinoviale e una lieve sinovite.
Sintomi e segni
L'esordio è graduale, generalmente con interessamento di una sola o poche articolazioni. Il dolore è il sintomo più precoce e abitualmente si aggrava con l'esercizio e migliora con il riposo. La rigidità mattutina è presente dopo inattività.
Stadiazione
Stadio 1: restringimento interlinea assenza o iniziale osteofitosi
Stadio 2: maggiore restringimento interlinea geodi subcondrali - osteofitosi
Stadio 3: collasso e appiattimento della testa geodi voluminosi – osteofitosi marcata
Stadio 4: collasso osseo subcondrale aceta bolare alterazioni strutturali grossolane
L’anca può presentarsi in modo:
Eccentrico: la testa del femore oltre ad entrare in profondità nell’acetabolo si sposta verso l’alto, colpisce l’80% dei soggetti è consigliabile una Artroprotesi dopo 4 anni. L’età media insorgenza 61a l’età media intervento 65°
Stadio 1: restringimento interlinea assenza o iniziale osteofitosi
Stadio 2: maggiore restringimento interlinea geodi subcondrali - osteofitosi
Stadio 3: collasso e appiattimento della testa geodi voluminosi – osteofitosi marcata
Stadio 4: collasso osseo subcondrale aceta bolare alterazioni strutturali grossolane
L’anca può presentarsi in modo:
Eccentrico: la testa del femore oltre ad entrare in profondità nell’acetabolo si sposta verso l’alto, colpisce l’80% dei soggetti è consigliabile una Artroprotesi dopo 4 anni. L’età media insorgenza 61a l’età media intervento 65°
Concentrico: la testa del femore entra in profondità nell’acetabolo ma rimane in sede non si sposta colpisce il 20% dei soggetti è consigliabile una Artroprotesi dopo 10 anni. L’età media insorgenza 59a l’età media intervento 69°.
Diagnosi
La diagnosi viene effettuata generalmente sulla base dei segni e dei sintomi clinici o nei pazienti asintomatici, sui reperti RX.
L’RX ci indicherà come primo segno una riduzione della rima articolare (normale appare nera se è bianca le due articolazioni si toccano e c’è artrosi) il secondo segno è la presenza di osteofiti (l’osso cresce per aumentare la superficie di contatto).
Un altro segno tipico sono i Geonchi, piccole cisti piene di muco che formano dei buchi nell’osso (parti di osso si comprimono e muoiono formando le cisti)
La VES è normale o solo moderatamente elevata.
Prognosi e terapia
Il trattamento comprende la riabilitazione, che implica la prevenzione delle alterazioni funzionali iniziando il trattamento prima che si sviluppino le disabilità e la riduzione della gravità o della durata della disabilità.
L'esercizio (range di movimento, isometrico, isotonico, isocinetico, posturale, rafforzante) mantiene sana la cartilagine, le escursioni del movimento e sviluppa le capacità dei muscoli e dei tendini di ammortizzare le sollecitazioni. Esercizi giornalieri di "stretching" risultano essere estremamente importanti.
Non c'è evidenza che i FANS largamente usati abbiano alcun beneficio a lungo termine sull'OA. Nei pazienti con dolore refrattario o con più segni di infiammazione, l'aspirina o altri FANS possono essere utilizzati e possono offrire un buon sollievo sintomatologico.
Quando le terapie di tipo conservativo non hanno dato risultati, va presa in considerazione l'esecuzione di un intervento chirurgico con protesi dell'anca.
Protesi d’anca
L’artroprotesi d’anca (o protesi totale d’anca) è un’articolazione artificiale realizzata in leghe metalliche, materiali plastici e/o ceramiche, che sostituisce l’anca ammalata, eliminando la fonte del dolore in modo efficace e permanente.
La protesi d’anca è costituita da una coppa e da uno stelo, che vengono inseriti rispettivamente nell’acetabolo e nel femore. Sullo stelo viene assemblata una testa protesica, in metallo o ceramica, che si articolerà con la superficie interna della coppa. Durante l'operazione di sostituzione totale dell'anca, il chirurgo sostituisce la testa consumata dell'osso della coscia con un emisfero in metallo o in ceramica montato su un sostegno, mentre la superficie della cavità viene rifatta con una cuffia in polietilene (plastico) o in metallo ricoperto da una pellicola di polietilene.
La protesi potrà o essere fissata con il cemento (protesi cementata), o fissata solidamente (penetrazione dell’osso nella superficie in maniera biologica) a ressione senza cementazione.
Indicazione all'intervento
La sostituzione protesica dell'anca è indicata in tutte le coxartrosi, primarie e secondarie (cioè conseguenti a displasia, conflitto femoro-acetabolare, postumi di frattura...) nel momento in cui la sintomatologia non è più controllabile con le cure mediche e fisioterapiche. Anche le artriti (artrite reumatoide, spondilite anchilosante, artrite psoriasica...) possono richiedere un intervento protesico quando l'articolazione sia stata irreversibilmente danneggiata.
La protesi è inoltre indicata negli stadi più avanzati della necrosi cefalica, quando non è più possibile ricorrere agli interventi di salvataggio della testa femorale.
La protesi d'anca può essere infine impiantata anche su frattura del collo femorale. In questo caso, se il cotile non è artrosico e il paziente è molto anziano, una protesi parziale (solo femorale) è preferibile, perchè può essere posizionata attraverso un intervento meno invasivo.
Come avviene l'intervento
L'intervento di protesizzazione dell'anca può essere eseguito mediante vie differenti (anteriori, laterali o posteriori), ciascuna caratterizzata da una corrispondente posizione della ferita chirurgica. Non esiste una via ideale, e la scelta dipende prevalentemente dall'esperienza personale dell'operatore. L'autore predilige un accesso laterale diretto, che comporta un'incisione longitudinale sul "fianco" lunga da 10 a 15 cm in funzione della corporatura.
Il collo e la testa del femore vengono asportati in una protesi standard, perchè questa sostituirà entrambi. Lo stelo viene così posizionato all'interno del canale midollare del femore, dopo un'apposita preparazione dello stesso.
Analogamente la coppa viene inserita nell'acetabolo dopo la rimozione del rivestimento cartilagineo residuo. In genere nelle protesi non cementate si impianta una coppa leggermente più grande della sede acetabolare preparata, ottenendo così un "incastro a pressione" (press-fit) che garantisce la stabilità. Se l'osso non è sufficientemente resistente, come capita nell'osteoporosi severa, può essere indispensabile ricorrere ad alcune viti accessorie.
Complicanze
L'infezione periprotesica è la complicazione più temibile, poichè la superficie metallica dell'impianto costituisce un terreno ideale per la crescita dei batteri al riparo dalle difese immunitarie dell'organismo.
La trombosi venosa, con il rischio di embolizzazione polmonare, ha un'incidenza piuttosto bassa con gli attuali protocolli di prevenzione (che prevedono l'impiego di farmaci anticoagulanti e di calze elastiche durante tutto il periodo post-operatorio).
La lussazione consiste nella dislocazione della testa protesica al di fuori della coppa. Questa può avvenire nel periodo postoperatorio qualora il paziente eseguisse alcuni movimenti, quali la flessione dell'anca oltre 90° o l'atto di incrociare le gambe, che vanno tassativamente evitati nelle prime 6 settimane dopo l'impianto. La carenza di tono muscolare predispone a questa complicazione, che fortunatamente si risolve spesso con una riduzione incruenta.
Post-intervento
Dopo l'intervento, il paziente rimane ricoverato nel reparto chirurgico per un tempo variabile tra 4 e 8 giorni in funzione dell'età, delle malattie coesistenti, della capacità di seguire il programma riabilitativo.
La deambulazione inizia in genere in seconda giornata, con l'ausilio di stampelle per evitare di caricare l'arto operato. Negli impianti cementati è possibile eliminare le stampelle precocemente, non appena siano guariti i tessuti molli (entro 2 settimane), mentre in quelli non cementati è preferibile attendere 4-6 settimane per non disturbare il processo di osteointegrazione delle componenti.
La riabilitazione precoce dopo protesi d'anca, dovrebbe limitarsi all'insegnamento della deambulazione in appoggio sfiorante e degli esercizi di mantenimento del tono muscolare.
Dopo 6-8 settimane, in presenza di un decorso regolare, il paziente può tornare ad una vita normale.
La sostituzione protesica dell'anca è indicata in tutte le coxartrosi, primarie e secondarie (cioè conseguenti a displasia, conflitto femoro-acetabolare, postumi di frattura...) nel momento in cui la sintomatologia non è più controllabile con le cure mediche e fisioterapiche. Anche le artriti (artrite reumatoide, spondilite anchilosante, artrite psoriasica...) possono richiedere un intervento protesico quando l'articolazione sia stata irreversibilmente danneggiata.
La protesi è inoltre indicata negli stadi più avanzati della necrosi cefalica, quando non è più possibile ricorrere agli interventi di salvataggio della testa femorale.
La protesi d'anca può essere infine impiantata anche su frattura del collo femorale. In questo caso, se il cotile non è artrosico e il paziente è molto anziano, una protesi parziale (solo femorale) è preferibile, perchè può essere posizionata attraverso un intervento meno invasivo.
Come avviene l'intervento
L'intervento di protesizzazione dell'anca può essere eseguito mediante vie differenti (anteriori, laterali o posteriori), ciascuna caratterizzata da una corrispondente posizione della ferita chirurgica. Non esiste una via ideale, e la scelta dipende prevalentemente dall'esperienza personale dell'operatore. L'autore predilige un accesso laterale diretto, che comporta un'incisione longitudinale sul "fianco" lunga da 10 a 15 cm in funzione della corporatura.
Il collo e la testa del femore vengono asportati in una protesi standard, perchè questa sostituirà entrambi. Lo stelo viene così posizionato all'interno del canale midollare del femore, dopo un'apposita preparazione dello stesso.
Analogamente la coppa viene inserita nell'acetabolo dopo la rimozione del rivestimento cartilagineo residuo. In genere nelle protesi non cementate si impianta una coppa leggermente più grande della sede acetabolare preparata, ottenendo così un "incastro a pressione" (press-fit) che garantisce la stabilità. Se l'osso non è sufficientemente resistente, come capita nell'osteoporosi severa, può essere indispensabile ricorrere ad alcune viti accessorie.
Complicanze
L'infezione periprotesica è la complicazione più temibile, poichè la superficie metallica dell'impianto costituisce un terreno ideale per la crescita dei batteri al riparo dalle difese immunitarie dell'organismo.
La trombosi venosa, con il rischio di embolizzazione polmonare, ha un'incidenza piuttosto bassa con gli attuali protocolli di prevenzione (che prevedono l'impiego di farmaci anticoagulanti e di calze elastiche durante tutto il periodo post-operatorio).
La lussazione consiste nella dislocazione della testa protesica al di fuori della coppa. Questa può avvenire nel periodo postoperatorio qualora il paziente eseguisse alcuni movimenti, quali la flessione dell'anca oltre 90° o l'atto di incrociare le gambe, che vanno tassativamente evitati nelle prime 6 settimane dopo l'impianto. La carenza di tono muscolare predispone a questa complicazione, che fortunatamente si risolve spesso con una riduzione incruenta.
Post-intervento
Dopo l'intervento, il paziente rimane ricoverato nel reparto chirurgico per un tempo variabile tra 4 e 8 giorni in funzione dell'età, delle malattie coesistenti, della capacità di seguire il programma riabilitativo.
La deambulazione inizia in genere in seconda giornata, con l'ausilio di stampelle per evitare di caricare l'arto operato. Negli impianti cementati è possibile eliminare le stampelle precocemente, non appena siano guariti i tessuti molli (entro 2 settimane), mentre in quelli non cementati è preferibile attendere 4-6 settimane per non disturbare il processo di osteointegrazione delle componenti.
La riabilitazione precoce dopo protesi d'anca, dovrebbe limitarsi all'insegnamento della deambulazione in appoggio sfiorante e degli esercizi di mantenimento del tono muscolare.
Dopo 6-8 settimane, in presenza di un decorso regolare, il paziente può tornare ad una vita normale.
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